Simone Bacci e la sua musica.
A cura di Ilaria Solazzo.
Ogni testata giornalistica sul web ha una propria linea editoriale scelta dal direttore della stessa con il proprio editore. Ci sono siti più settoriali che scelgono di occuparsi solo di determinati generi musicali, altri che si occupano solo di artisti noti e poi ci sono siti generalisti che cercano, nel limite del possibile, di dare spazio a quante più realtà musicali. E nel farlo si fanno delle scelte. In base al materiale inviato, in base agli artisti che si sceglie di sostenere e in base agli spazi liberi. La scelta di pubblicare un artista emergente, oggi è un atto di coraggio, perché l’informazione musicale fatica certamente di più rispetto a quella televisiva, giusto per fare un esempio. È un atto di coraggio perché, così come avviene per la musica dal vivo nei locali, le persone scelgono spesso di leggere notizie su artisti già noti piuttosto che su nomi meno conosciuti. È un atto di coraggio perché, spesso, pubblicare in uno degli spazi a disposizione per le news giornaliere, un artista poco noto, causa una flessione nelle visite. Detto ciò ogni sito, ogni radio, ogni addetto ai lavori ha il diritto di scegliere cosa può o vuole pubblicare. Non ci sono obblighi. Io ho scelto di dare voce al talentuoso rapper italiano Simone Bacci. Un esordio il suo, pieno di carattere, il riflesso delle difficoltà dei giovani a trovare il proprio senso in un mondo stravolto. Nelle sue canzoni, Simone, affronta i suoi demoni ed esorcizza le proprie ansie, le proprie insicurezze, le notti insonni affrontate con rabbia. Racconta la sua lotta interiore per superare queste difficoltà e realizzare il proprio sogno: farcela con la musica, vivere nelle grandi città internazionali, lasciandosi alle spalle la sua piccola realtà. Per Bacci il numero “13” è diventato il simbolo perfetto per raccontare questo percorso. Un numero aperto a più interpretazioni: può portare fortuna come essere un numero sciagurato. Un numero, spigoloso, imperfetto, ma carico di un’energia che deve essere incanalata nel verso giusto.
“CON LE MIE CANZONI, PROVO A DONARE AGLI ALTRI LA PARTE PIÙ FORTE DI ME E QUESTO MI FA SUPER BENE” cit. Simone Bacci.
INTERVISTA
ILARIA – Ciao Simone, come stai? Grazie per aver accettato di concederti ai nostri microfoni. Per cominciare vorrei chiederti: la tua canzone cosa racchiude? Raccontaci…
SIMONE – Sto benissimo, fortunatamente. Grazie per l’inatteso e graditissimo invito. La mia canzone riassume la mia vita. Casa, famiglia, problemi e morte di mio padre, anoressia, depressione, ansia sociale, centro per disturbi alimentari e brutta malattia di mia madre. Ricordo ancora quando praticamente ero bloccato in ospedale, con un sondino perchè pesavo circa 39kg. Mi sentivo sbagliato, incompreso, diverso dai miei coetanei e probabilmente mi ammalai proprio per questo motivo. Dopotutto gli anni precedenti non li avevo passati a casa mia, ma in una casa famiglia e si sa, i ragazzini da piccoli sono tremendamente stronzi e certe cose te le fanno pesare. Nelle orecchie ascoltavo solamente un artista: Emis Killa (praticamente se sono vivo lo devo alla sua musica). Nei momenti più tristi mettevo play a canzoni tipo “Alzati e combatti” e magicamente mi tornava il sorriso. Le sue canzoni erano molto più efficaci di quelle dannate pillole che sono stato costretto ad ingerire per svariati anni della mia adolescenza. La mia canzone non è affatto una roba dove mi piango addosso, tutt’altro, è un mezzo che serve a me per comunicare la mia rabbia, una sorta di rivalsa verso tutte le persone che mi hanno fatto sentire sbagliato. Non punto alla fama, voglio solamente lasciare un pezzettino di me a tutti voi.
ILARIA – Se ti dico Emis Killa tu cosa mi rispondi?
SIMONE – Emis Killa è un Maestro. È il rapper italiano che seguo con infinito affetto da lunghissimi anni sui social… e non solo! La sua musica mi ha dato la forza di lottare e di vincere.
ILARIA – Ti va di raccontare ai lettori come mai il rap ha preso piede come genere musicale in Italia?
SIMONE – Sì. Con estremo piacere. È stato portato in Italia negli anni 90, dai vari fibra, kaos one, colle der fomento, sangue misto. Era, ovviamente, riservato ad una ristretta cerchia di persone ed era principalmente underground, autoprodotto. Poi si sono sviluppate varie etichette indipendenti come la Unlimited Struggle (nata grazie a Frank Siciliano). Questa etichetta raccoglie, anzi raccoglieva, un bel po’ di scena underground: stokka e madbuddy, che si sono sciolti anni fa, egreen, johnny Marsiglia, cali, lo stesso Frank Siciliano, Microspasmi, mistaman, Ghemon, kiave… e beatmaker come big joe, fid mella, e l’onnipresente dj Shocca, buco della gloria (murubutu, Claver gold, danno dei colle der fomento, file Toy, wiser, moder, lord madness… attiva con il progetto death poets di dj fastcut e molta scena underground), la macrobeats (principalmente per ghemon), la machete (salmo, el raton, nitro, en?gma, Gemitaiz e MadMan principalmente). In realtà, la scena più vasta è sempre stata quella underground, tuttora ancora fiorente e ben delineata con continue collaborazione attive da anni (tipo i colle der fomento con kaos one, oppure Claver Gold con murubutu…). Ha preso piede nel mainstream, dopo che fibra ha firmato con una Major (che se non sbaglio dovrebbe essere la Universal) nel 2006. Da lì si è sviluppata una scena mainstream che reputarla mediocre è pure assai: sono i pochi quelli che si salvano, tra cui lo stesso fibra, Marracash, salmo e nitro, anche se quest’ultimo poco compreso dal pubblico che vuole sempre la pappa pronta e la poca originalità nei contenuti che più sono insipidi più piacciono. Abbiamo sfornato vari Fedez e robetta trap mediocre di cui non essere fieri, in quanto lede all’immagine del rap italiano, già poco accettato dai puristi della “musica suonata con strumenti veri, Battisti è un dio, il rock è religione, voi non capite niente di musica io sì”. Una cosa che non è cresciuta come pubblico e popolarità è il freestyle, nonostante mtv spit (e non parliamo manco di secoli fa): i contest sono relegati massimo ad un centinaio di persone. Il freestyle in Italia è cambiato: fin quando c’era il 2 the beat era meno tecnico e più lineare, ma la nuova scuola è più tecnica e più cervellotica, basti pensare a blnkey. Nel rap italiano, si trova maggior espressività nell’underground: basti pensare al fatto che ci sono più contenuti, più sperimentazione linguistica, più libertà, tematiche disparate, creatività, serietà e professionalità (mica questo perdono tempo con i dissing su Instagram, tranne Inoki, lui è un caso perso); nella scena mainstream, non troverai mai un rancore (il quale nonostante Sanremo, non è accresciuto di pubblico e fama. Ma mica si può chiedere di più ai puristi di Claudio Villa), un murubutu e un lord madness, sarebbe troppo per il pubblico generalista. Detto questo: non mi aspetto che il rap italiano venga apprezzato, ma almeno compreso dopo averlo un minimo approfondito e non bistrattato per partito preso, perché è sempre bello prendersi due like in più su Facebook.
ILARIA – La musica rap era migliore prima?
SIMONE – Non si può rispondere in modo semplice a questa domanda. Se sei un purista della old school probabilmente sì, considera che nella storia dell’hip hop la tecnologia implementata negli studi di registrazione diventa importante. Un conto è fare musica come quando c’era Nas, Tupac, il primo Eminem e un conto è farla oggi. Anche le tematiche sono profondamente diverse, il rap di riscatto sociale portato avanti ieri era un esigenza per farsi notare dalle note etichette. Oggi, invece, si lavora molto sull’aspetto side della musica, penso a Tedua ed alla collaborazione con Burlon. Quindi dato che il rap si modifica come un camaleonte nell’epoca in cui viviamo se sei sufficientemente geniale ci metti un po a digerire tutta la nuova wave. Non è un caso che quando posso torno a sentirmi, le sacre scuole, one mic, sangue misto, ecc. Il mio consiglio? Inserire le novità mantenendo un tappeto di classici sempre a portata di mano. Ci saranno le hits intramontabili e quelle non le leverà nessuno dalla storia, ma nello stesso tempo grazie ai mixtape ci sono delle contaminazioni interessanti, quella che più mi ha colpito è sicuramente la machete con Salmo che comunque ha portato un genere come l’hardcore rap in superficie anche con l’album death U.S.B.
ILARIA – In Italia impazzano i reality. Tu cosa pensi di questi format?
SIMONE – I reality show servono a vendere pubblicità prima, dopo e durante la trasmissione, come tutte le trasmissioni televisive che vengono erogate su reti commerciali. Sono una delle produzioni più economiche per le televisioni. Trovare una casa e buttarci dentro trenta vip per sei mesi circa, poi filmare quel che combinano e mandare in onda le cose più interessanti che ne sono uscite indubbiamente costa a Berlusconi molto, ma molto meno che immaginare, sceneggiare, girare, montare una fiction.
ILARIA – I reality show sono l’unico modo per emergere, oggi, sulla scena musicale nazionale?
SIMONE – No, non l’unico. Ci sono artisti che non erano famosi, sconosciuti usciti dal nulla, che i reality show italiani, hanno reso noti. Direi che la partecipazione ad un reality show è il modo più immediato, o meglio, il salto nel vuoto che se ti riesce è il più facile strumento per emergere velocemente e divenire brevemente super popolare.
ILARIA – Perché la gente, secondo te, ama i reality show?
SIMONE – È una bella domanda alla quale non ho ancora trovato una risposta particolarmente convincente. Tendenzialmente ho notato, in questo campo, come in altri, la tendenza ad esporre veri e propri “fenomeni” come partecipanti ai programmi. Ma la stessa cosa la si nota, spesso, con certi “soggetti sul web”. Si tende a ridere di qualcuno che esibisce comportamenti del tutto irragionevoli, esageratamente sopra le righe, ma, comunque, in qualche modo comuni alla nostra esperienza quotidiana. Un sacco di volte mi è capitato di sentire la frase: “No vabbeh, ma come si fa a essere così?!”. Ho idea che un po’ tutti trovino confortante il sentirsi superiori ad altri, in questo caso ai concorrenti dei vari reality. Inoltre diventa un fenomeno culturale, lo si guarda perché lo guardano gli amici, i parenti ed i vari conoscenti. Probabilmente funzionano anche perché sono di facilissima fruizione, non richiedono nessuna risorsa, economica o cognitiva, per essere seguiti ed il perdersi una puntata non incide minimamente sull’esperienza che se ne trae.
ILARIA – Invia un saluto ai tuoi fans…
SIMONE – Siete la mia luce. Ognuno di voi mi da’ la carica giusta per lottare contro le avversità della quotidianità. Grazie per il vostro affetto.
Il video della sua canzone è ufficialmente online
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Questa intervista è stata rilasciata telefonicamente, da Simone Bacci, in esclusiva ad Ilaria Solazzo. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).